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“Inter Montos” Passata l’Abbazia di Monteortone si arriva a Tramonte circondata a nord ovest dal monte Lonzina, ad nord est dal Monterosso ed ad est dal Monteortone.

Villa Rosa, nota pure col nome di Villa delle Rose, sorge in una ridente insenatura  dove la dolcezza dei declivi tocca la pianura. La storia dei siti, ricorda qui la presenza della famosa strada romana che percorrendo tutto intorno i Colli Euganei si snodava ai piedi dello stesso. E’ infatti tramandato che detta strada romana passava nel luogo ove sorge attualmente Villa Rosa. Della presenza romana del luogo ne fanno fede ancora delle coperture ad embrici romani  della cantina. Per la sicurezza contro il brigantaggio, nei tempi dell’alto medioevo lungo la strada pedemontana, venivano costruite delle torri a cavallo della strada stessa che regolavano il traffico e che di notte venivano chiuse con portoni. Appunto dove esiste la villa funzionava una di queste torri trasformata in castelletto circondato da fossato tutt’ora esistente. Nel XIV secolo, si presume che questo posto fortificato fosse trasformato  in villa dai Camposampiero. Ricordi di tale trasformazione si trovano nei pavimenti   del 1° e 2° piano, nel soffitto con grosse travature della sala Levante  nel piano terra, finestre gotiche sia nel piano terra che al primo piano.



I CAMPOSAMPIERO

DSC_0298I Camposampiero, una delle più antiche e illustri famiglie avevano sette proprietà nel territorio padovano, tra cui Tramonte.

I Camposampiero discendevano da Tiso dei Tisi cavaliere tedesco, vassallo di Berengario I° .

Un Tiso venne in Italia nel 1013 al seguito di Enrico II° di Sassonia detto “ Il Santo” e alla dieta di Roncaglia ricevette in premio dall’imperatore le terre dei Camposampiero per il coraggio dimostrato nella guerra contro Arduino.

Dalla terra dove i figli di Tiso, Tisone e Gherardo eressero un forte/castello trasse il nome la famiglia.

La storia dei Camposampiero è una delle più interessanti fra quelle delle famiglie più coinvolte nelle guerre imperiali, nelle frazioni delle Signorie e dei Comuni. Fu una stirpe fedele ai principi di fedeltà, nemica di Ezzelino quasi sempre poco amica dei Carraresi, soffrì dai dominatori di Padova persecuzioni e confische e più tardi con la dominazione veneta fu spesso costretta all’esilio.

I Camposampiero erano bellicosi Tisone III° fu detto “ Il Grande” per aver contribuito con le parole e con le armi alla caduta della tirranide ezzelliniana.

Tisone IV° fu capitano generale della Repubblica Padovana nella guerra contro gli Scaligeri.

Nella seconda metà del XVI° secolo i Zeni di Tramonte appartenevano a Nicolò III° legista e professore di diritto civile nello studio di Padova. Una violenta contesa con un collega di cattedra gli aveva fatto abbandonare lo studio; fu poi deputato “ad utilia” del Comune, e circondato dalla stima dei suoi concittadini si ritrasse a Tramonte, dove poté coltivare gli studi e le ricerche storiche e fu adorato dai coloni, di cui a volta fu pacere e patrono.

Degno suo discendente fu il figlio Lodovico III° detto Nicolò il quale abitò nella villa

dilettandosi con gli uomini dotti che a Tramonte avevano la loro villeggiatura, Jacopo Filippo,Tommasini, Ascanio Zabarella, il dott. Bolzetto, mentre in gioventù aveva conosciuto il Cardinale Federico Cornaro che abitava nella villa di Luvigliano.

Ma Ludovico sapeva di appartenere  ad una razza forte, che mal soffriva di stare in ozio.

Dovette allontanarsi da Padova come bandito, per aver vendicato la morte  di suo fratello  e si recò  a Mantova dove virtù  e valore gli procurarono l’onore  di diventare parente del Duca avendo Lodovico sposato una sua nipote Gonzaga.

Da Lodovico la villa di Tramonte  venne poi alla nipote Onorata  che la ebbe in dote quando andò sposa a suo cugino Conte III°.

Conte III° lasciò quattro figlie, un maschio legittimo Antonio II° e uno naturale.

Il possesso di Tramonte passò a Giovanni Antonio, ma i beni di costui erano destinati ad una fine disgraziata, poiché un Camposampiero di indole torbida e avventata trovandosi a Legnano aveva tentato di sollevare il popolo contro le milizie venete, perciò il Governo della Serenissima ne confiscò i beni. Il confiscato morì di rabbia 10 anni dopo.

Così parve giusto ” All’allibrator del fisco” di assegnare Tramonte a Flaminia che andava sposa al nobile Giovanni Antonio Miero.

Rimasta presto vedova Flaminia continuò a godere la campagna di Tramonte che le offriva un asilo di pace dove era possibile dimenticare le tristi vicende famigliari.

La casa era ampia e intorno vi erano le necessarie, per quanto non vaste adiacenze stalla, tezza, colombaia e una cantina da un lato l’orto dell’altro il cortile con una fonte, cosa preziosa per quegli aridi colli, e una chiesetta dove la pia Flaminia si recava pregare.

Ma con il passare degli anni Flaminia vedeva sempre più compromesso l’avvenire della famiglia, sentendosi vecchia preferì chiedere unicamente a Dio il conforto ai guai famigliari e decise di ritirarsi in convento nel Monastero di San Pietro a Padova.

Vendette i suoi beni di Tramonte al nobile Francesco Rosa il 10/11/1697 per 2000 ducati.



FRANCESCO ROSA

DSC_0290La famiglia Rosa  esercitava mercatura,  era molto ricca  e possedeva fondi e rendite tali da potersi trattare alla granda. Francesco Rosa che abitava a Padova nella Contrada delle Torricelle ove vi nacque nel 1666,dottore in ambo le leggi, acquistò il 10/11/1697 da Flaminia Camposampiero i terreni e la villa che versava in deplorevoli  condizioni

di abbandono per 2000 ducati.

Silvestro Rosa  fratello di Francesco conseguì nel 1690 il titolo di nobiltà e nel 1722 il titolo comitale da Massimiliano Emanuele Duca di Baviera ed Elettore del S.R.I.

Il quale prese a stemma una rosa rossa senza ramo in campo d’oro. Rosa bel nome,la rosa bellissimo fiore, l’antenato Rosa abolì nello scudo il gambo così se avesse in qual modo minato le spine. Le spine vi furono egualmente ed in certi casi molte. Nel genere umano esistono più dolori che gioie.

Francesco Rosa uomo intelligente, raccoglitore di libri e dipinti, fece ampliare, restaurare, decorare magnificamente la dimora agreste, ricostruì mura e fondamenta senza risparmio di denaro.

Quando Francesco Rosa acquistò la proprietà, probabilmente  la villa e la chiesetta erano gotiche, di questa prima fase rimangono tutt’ora tracce nei pavimenti  in cotto del primo e secondo piano, con le piastrelle disposte a spina di pesce, e anche nelle finestre gotiche ritrovate  in seguito ai lavori di restauro.

Altri elementi significativi sono presenti nei soffitti  del piano terra e infine nelle finestre tribolate della foresteria  riusate nella costruzione seicentesca.

Francesco Rosa sposò Gabriella Caterina Patin nell’oratorio della villa nel 1726 , il loro matrimonio al di là delle motivazioni di carattere economico che potevano spingere Gabriella a nuove nozze, potè fondarsi su una solida base di comune sensibilità e interessi culturali tali da garantire un’armoniosa convivenza tra i due coniugi.

La trasformazione della villa da gotica a seicentesca avvenne nella seconda meta del XVII secolo  e non vi è dubbio che , almeno in parte, ispiratrice  di questo intervento sia stata la sposa Gabriella che aveva conosciuto con l’esilio del padre i grandi artisti delle corti europe.

L’urbanistica stessa del giardino, con l’assialità dei viali terminanti con cancelli e statue , è uno dei motivi prediletti di Lenotre.

Le balaustrate coronate da statue e da busti, tutti identificati  da un nome del mondo greco  e romano. Infatti i soggetti rappresentati in forma lapidea  fanno arguire che la regia dell’intervento architettonico non sia stata di un semplice architetto, ma di un cultore di antichità classica. Chi meglio di  Gabriella Patin avrebbe potuto indirizzare gli scultori verso soggetti tratti dell’archeologia e dalla cultura greco romana.

Il fronte dell’edificio appare al visitatore come un palazzetto con la cornice dentellata e un frontone che racchiude nel timpano lo stemma dei Rosa. Sopra il timpano sono collocate 5 statue di bellissima fattura raffiguranti :la Fede, Speranza,Carità, Abbondanza e Pace, si anima di una accesa vitalità che gli spinge a narrare la loro gioia,la loro sofferenza. .  Non si conosce attualmente l’architetto, ma l’elegante auritmemia delle proporzioni induce a collocare la villa nell’ambito della cerchia dei seguaci del Longhena.

Entrando nella villa, altri particolari fanno ancora intuire la fervida mente di Gabriella Patin nella scelta degli artisti: ecco infatti l’assunzione dei fratelli Dorigny sia come pittori sia come scultori per abbellire l’interno.

Sembra che questi artisti siano stati chiamati nel Veneto proprio da Gabriella , che  consceva i Dorigny che avevano ritratto Charles Patin ( anche se si ignora dove fu convocato detto ritratto) I Dorigny pittori del Re di Francia prima di imporsi con la loro opera a Verona, Vicenza, Padova lavorarono a Tramonte su tre grandi tele, privatamente collocate al primo piano della villa che rappresentano  soggetti mitologici. Una di esse avente come tema Ercole e Onfale ritrae sembianze di Francesco Rosa nelle vesti di Ercole e Gabriella Patin ( sposa di Francesco Rosa)nelle vesti di Onfale

Gli affreschi dell’ultimo piano della villa riproducono i quattro elementi : terra, acqua, aria e fuoco sono attribuiti alla scuola dell’’Albani  e di essi esistono stampe prodotte a Parigi, che riproducono appunto i quattro elementi: Terra, acqua,aria, e fuoco.

Inoltre nella villa sono conservati alcuni quadri e libri segnati con l’inconfondibile” P” sigla autografa posta da Patin  alle opere di Sua proprietà.

Notevole è l’architettura dei soffitti dell’ultimo piano, arricchiti da importanti cornici dorate. Particolare poi è l’alcova dove soggiornò il Manzoni, ospite della famiglia Rosa.

La immaginiamo oggi come la dimora di uno studioso patrizio in velada e ricami d’oro che aveva scelto questo rifugio tranquillo propizio alle meditazioni e alle brevi passeggiate fra aiuole di rose e vialetti fiancheggiati da statue e confortato dal prezioso vinello bianco che a tutt’oggi viene prodotto nei vigneti che contornano la villa.

Quest’oasi di pace serena che apparteneva come appartiene tutt’ora alla famiglia dei Conti Rosa, dove non mancarono gli studiosi, gli abati.

La chiesetta era quasi distrutta, ora è magnifica, vi si entra  dalla via comune oppure da una piccola porticina che guarda il giardino essa è dedicata in onore dell’Assunta, infatti il quadro a olio sopra l’altare rappresenta Maria Assunta, anche la bella statuina collocata all’esterno sopra il frontone rappresenta l’Assunta. Sopra l’altare una cassa di legno il cui coperchio è magnificamente  scolpito, conserva il corpo di San Felice martire, bellissimo glorioso martire,  santo guerriero conservato alla perfezione, fu trasportato dalle catacombe nel 1700 egli è stato offerto ai nostri antenati per meriti da loro acquisiti nella stessa guisa che per benemerenza  di un ambasciatore di Monselice fu onorata di custodire anche oggi dei santi martiri. Ai lati due magnifici angeli. Ai lati davanti all’altare è in pietra e marmo sul prospetto a destra e a sinistra sono raffigurati due graziosi putti. Due altorilievi uno rappresenta la fuga in Egitto, l’altro il miracolo dei datteri impreziosiscono le pareti,(opera del Marinali), il soffitto a volta è affrescato dal Celesti.



GABRIELLA PATIN E LA SUA FAMIGLIA

DSC_0299Interessante famiglia quella dei Patin Charles Patin figlio del famoso medico francese Guy Patin , enfant prodige dell’ambiente medico e umanistico parigino, laureato alla Sorbona nel 1656. Dal 1658 fu professore di anatomia e patologia nell’università parigina. Condannato  a Parigi nel 1668  per libertinaggio e traffico di libri interdetti fu costretto a lasciare la Francia  per non essere arrestato  dopo aver soggiornato in Germania , Austria, Svizzera giunse a Padova il 22 febbraio 1676 dove gli fu affidata la cattedra di AD LECTURAN TERTII LIBRI Avicennae dell’Università di Padova .

Dopo la brillante giovinezza parigina e i lunghi anni trascorsi in esilio in Europa si stabilì a Padova ospite in una casa messa a sua disposizione da Giovanni Lazzara, influente  esponente della nobiltà padovana e la massima autorità culturale della città divenendo in breve attivissimo ed eclettico animatore della vita culturale, portando un soffio di cosmopolitismo e di mentalità europea che suscitò critiche e gelosia dell’intelligenzja padovana del tempo. L’amicizia tra i due studiosi lo fece ammettere subito all’accademia dei Ricoverati ed ebbe la prima condotta sulla seconda cattedra di medicina con lo stipendio di 300 ducati l’anno. La sistemazione lo portò nel 1678 a riunire la famiglia che era rimasta a Lione ospite presso l’amico Charles Span. L’oculata gestione della carica lo portò nel 1681 alla promozione alla prima cattedra di chirurgia , le giunse contemporaneamente la riabilitazione da parte di LUIGI XIV e gli fu ventilata la possibilità di rientrare in Francia come archiatra reale del Delfino.

Si dice che Patin avesse una ricca collezione numismatica raccolta nel esilio, una raccolta di gemme, una buona quadreria, sembra che possedesse  La Madonna del Giglio di Leonardo appartenente a Francesco I e a Enrico  IV d’ Inghilterra oltre a numerosi quadri e un ‘importante collezione di stampe appartenente a Benedetto Selvatico. Il suo salotto  era una piccola accademia domestica in cui anche le figlie e la moglie avevano un ruolo attivo , si parlava di filosofia, di arte, di politica, e delle condizioni e ruolo della donna nella famiglia e nella società  dove i vari dottori

potevano presentare e discutere le loro opinioni.

Le tre dame ebbero una vita assai longeva e dovevano godere di una certa notorietà, ma dopo la morte di Chales Patin nel 1693, Carla Caterina entrò definitivamente come religiosa  alle Dimesse portando con sé una dote di 1300 ducati  e vari mobili e quadri.

Madonna Carla Caterina, avanzata negli anni ,ma si può dire fosse una bambina, tanta era la sua semplicità, a cagione di questo diceva a volte qualche parola che veniva condannata per difetto, e per tale ne era corretta, di cui essa umiliandosi , si confessava  miserevole e colpevole , ma in fine però si scopriva che quelle parole uscivano da un cuore semplice che non aveva in sé il menomo sentore di malizia.

Teneva di sé un bassissimo concetto, riceveva i SS. Sacramenti   con grande devozione;   spesso ringraziava   il Signore  del beneficio grande d’ averla elevata al suo servizio e tal  fine domandava la finale perseveranza.

Relativamente più movimentata fu invece la vita di Gabriella che andò sposa nel 1720 in seconde nozze al nobile Francesco Rosa.

Sono statin sposati da Fra Andrea Tarchiani  e come testimoni i notai Giovanni Cusinatone Francesco Ormelli.Stante lo smantellamento di gran parte delle collezioni di Patin, le eredi non dovettero interrompere  del tutto i rapporti con l’ambiente culturale  patavino in particolare Gabriella si manteneva in contatto con i vari artisti francesi che già avevano collaborato con il padre, ponendoli ora in relazione con il Marito e stabilì anche buoni  rapporti con altri artisti della stessa cerchio.

Sembra che questi artisti siano stati chiamati nel Veneto proprio da Gabriella , che  consceva i Dorigny che avevano ritratto Charles Patin ( anche se si ignora dove fu convocato detto ritratto) I Dorigny pittori del Re di Francia prima di imporsi con la loro opera a Verona, Vicenza, Padova lavorarono a Tramonte su tre grandi tele, privatamente collocate al primo piano della villa che rappresentano  soggetti mitologici. Una di esse avente come tema Ercole e Onfale ritrae sembianze di Francesco Rosa nelle vesti di Ercole e Gabriella Patin ( sposa di Francesco Rosa)nelle vesti di Onfale.

Il secondo è quello di Ernesto Daret da Bruxelles che dipinse nel 1694 una decina di tele di soggetto campestre, pervenendo poi nella collezione Rosa e tutt’ora conservata in villa.

Entriamo in casa  nella sala da pranzo volgo lo sguardo alle finestre aperte sul giardino. Osservo la tavola preparata per la colazione, splendidi piatti raffiguranti degli uccelli, tovaglia di fiandra con lo stemma dei Rosa tutto sembra immutato nel tempo.

Osservo nella stanza da pranzo come un’alcova dove sopra una cassapanca scura campeggia il ritratto di un nobile cavaliere dal fiero portamento. Un re chiedo?   Si, Luigi XIV Gabriella Patin sposa di Francesco Rosa ha portato in casa questo quadro.

Nel salottino un quadro tale e quale l’incisione del frontespizio del libro edito dalla sorella Caterina che in quel momento il padrone di casa mi stava mostrando , attento comé alla cura di quel che riguarda i suoi vecchi.

Nel ritratto di famiglia tratto dall’incisione  veste un abito con le maniche a sbuffo una collana di perle al collo. Curiosa la storia di questa famiglia che venne a stabilirsi a Padova e curioso il ritratto.

tra Gabriella e la madre vestita alla moda più raffinata di Parigi , si apre il lembo di un drappeggio dietro i personaggi e semi nascosto si scorge un quadretto ovale rappresentante il ritratto del padre del nostro dottore Guy Patin , medico famoso, caro alla corte, ma fedele ancora ai vecchi metodi curativi di Ippocrate e Galeno consistenti in energici salassi, tremende purghe e rifugente ostinatamente ai primi tentativi  di cure farmaceutiche che i i giovani medici  i quali ordinavano poetiche pillole e polverine leggere assai più gradite alle dame di corte. Del vecchio Patin si lamenta anche la marchesa de Sade che aveva molto cara la sua salute. Il figlio del vecchio Guy  divenuto a sua volta e all’amorevole scuola del padre  un luminare della scienza medica.

E’ ora di pranzo facciamo colazione nella sala  serviti da una premurosa cameriera, adornano le pareti splendidi quadri di Ernesto Daret da Bruxelles le finestre aperte sul giardino dove lo sguardo

corre sui filari di rose. Dopo colazione saliamo al primo piano a prendere il caffè, nel salone centrale vi sono tre arazzi opera di Louis Dorigny  due ai lati della scale, uno lungo tutta la parete rappresenta il sorgere del sole, gli altri due sono di soggetto diverso, uno rappresenta la Venere colpita dalla freccia di cupido, il secondo la Parca dellaVita, sullo sfondo del quadro c’è una rosa inghirlandata, è dipinto anche un diavolo, tutte tre le tele rappresentano fatti mitologici  Francesco Rosa è rappresentato nelle vesti di Ercole e Gabriella nelle vesti di Onfale

Passiamo in una splendida libreria del pure stile 500 dove sono raccolti tutti i libri di Patin troneggia sulla sala uno splendido camino pronto per essere acceso del camino noto con piacere dei splendidi tappetti, sono stati fatti da mia madre  ci spiega con orgoglio il nostro ospite, nei salotti in stile impero, le tende di pizzo si muovono leggermente l’atmosfera è soffusa sembra che Gabriella suoni lo splendido pianoforte.

Al terzo piano della casa padronale è il più bell’ambiente s’ammirano ancor oggi lo sguardo sul splendido soffitto a volta circondato da una cornice di legno intagliato,  le pareti sono adornate da affreschi con motivi mitologicisi quattro splendide statue di Dorigny  fratello di Louis adornano la sala , con orgoglio il nostro ospite ci mostra la stanza dell’alcova dove alloggiò Manzoni per delle ricerche che fece in villa su libri su Carlo V scritti da Giuseppe De Leva che aveva sposato Elisabetta Rosa.

Francesco e Gabriella non ebbero figli essendosi sposati avanti negli anni e la villa passò al fratello Silvestro. Possiamo ricordare tra i Rosa don Girolamo Maria dei Conti Rosa  egli fu monaco Benedettino all’Abbazia di Praglia e a lui si deve quella serie di allegorie  che nel refettorio grande dell ‘insigne monastero.

Il 30 settembre 1722 la moglie di Patin  dopo aver trascorso l’estate nel fresco di Tramonte con il genero ela figlia viene sepolta a Monteortone dato che Rosa aveva donato ai padri di Monteortone tutte le serie di grate  e cancelli  dorati cge mettono in comunicazione visiva il presbiterio della chiesa con il retrostante sacello ivi compreso i due lavorati  con lo stesso motivo a spirali e rose di quelli dell’oratorio e del brolo della villa che chiudono il sacello dove si conserva l’immagine miracolosa  de cui il ritrovamento nel 1428 originò il santuario stesso.

Gabriella muore a 97 anni per febbre e catarro e viene sepolta nella chiesa parrocchiale di San Fermo.

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